L’ odore del mondo
“Parmi, Sancio, che tu abbia gran paura. —
Per l’appunto, diss’egli;
ma donde arguisce vossisignoria
ch’io tema più adesso che prima?
— Perché adesso più che prima mandi
un odore che non è d’ambra,
rispose don Chisciotte.”
Miguel de Cervantes ( 1547-1616)
Nel mondo dell’era Covid si avvicendano alchimisti di vario genere e natura, portatori, a volte infetti, di inedite misture finalizzate ad illudere una società incerta ed impaurita con la promessa della salvezza. Essi mescolano essenze, analizzano effluvi, inseguono aromi, indagano su odori anche repellenti cercando la radice primigenia del profumo perfetto che raggiunga la mente della gente e ne confonda le percezioni, rendendo schiavi del miraggio di un paradiso perduto, forse mai esistito se non nel desiderio.
Tutte le volte che pensano di poter raggiungere l’obiettivo, essi cospargono del nuovo sentore un candido fazzoletto di batista e lo agitano nell’aria per vedere quanti siano disposti a seguire quella scia. In unico sventolio ne saggiano sapientemente le note di testa, di cuore e di fondo E’ un lavoro delicato e complesso che richiede la medesima pazienza del pescatore, disposto ad attendere lungheore prima che il pesce abbocchi all’amo di acciaio che l’esca abilmente intrecciata nasconde.
Ma, a differenza di quanto accade al pesce, che rimane vittima del proprio elementare istinto a nutrirsi, l’olfatto umano ha un’ immediata connessione con le funzioni cerebrali ed attinge al sistema limbico, formato da ippocampo ed amigdala, che controlla gli stati d’animo e le emozioni e dal talamo, metafora nuziale, che insieme ad alcune aree della corteccia frontale, è coinvolto nell’interpretazione cognitiva dello stimolo ricevuto attraverso le narici.
Benché facciamo fatica a descrivere verbalmente un odore, siamo in grado di riconoscerlo fra altri, così come riusciamo ad associargli ricordi personali lontani nel tempo e ad elevato impatto emozionale, il cosiddetto “effetto Proust; a dispetto delle resistenze dell’olfatto a essere messo in parole, la cognizione olfattiva sembra avere un forte radicamento nell’esperienza soggettiva.
Perfino nell’anno dantesco il verso più ricordato dai più è stato quello, molto popolare, relativo al rumoroso diavoletto Barbariccia, mentre i tabloid hanno spopolato per l’imbarazzante incidente occorso a Joe Biden al cospetto di Elisabetta II e uno degli spot pubblicitari di maggior – seppur discutibile – successo ha fatto del “fatal crepitio” il proprio clamoroso sonoro.
Secondo alcuni, l’olfatto è una modalità sensoriale unica, isolata e quindi nettamente differente dalle altre, in sostanza un’“anomalia cognitiva” . In una cultura visuo-centrica come quella occidentale l’olfatto ha subito una sistematica svalutazione epistemologica (insieme al tatto e al gusto): Aristotele definisce l’olfatto come senso sfuggevole e impreciso in quanto inadatto all’astrazione e privo di uno specifico vocabolario. Platone, collocandolo a metà strada fra sensi della “conoscenza” (vista e udito) e sensi della materia e della soggettività (tatto e gusto), delinea una concezione dell’olfatto come “senso di mezzo”, di mediocre interesse epistemologico.
Questa concezione si manterrà fino alla metà del secolo scorso quando le conoscenze sull’olfatto erano ancora ad un livello corrispondente a quello raggiunto a metà Settecento dagli studi sulla vista e sull’udito. Soltanto a partire dagli anni ‘70 del ‘900 sono cominciate ricerche sistematiche fondate sui paradigmi teorici e metodologici della psicologia sperimentale. Dai risultati di questi studi germinali è venuta definendosi l’ipotesi che l’olfatto sia una modalità sensoriale autonoma e perciò distinta dalle altre.
L’olfatto è, tra i cinque, il senso primordiale ed ha guidato i comportamenti di tutti gli esseri viventi dai più elementari ai più evoluti influenzando la fuga o l’attacco, la ricerca del nutrimento, l’accoppiamento e la riproduzione, il riconoscimento reciproco con la prole. In senso figurato, poi, è diventato fiuto, capacità di preveggenza, intuizione “a pelle” della natura di uomini e di situazioni.
Un antico proverbio siciliano associa il fiuto e la fuga tempestiva non a viltà ma “salvamento di vita” come sa bene lo schiavo Maysarah nel racconto di Pietrangelo Buttafuoco ”L’ultima del Diavolo”.
Uno studio della Rockefeller University di New York ha dimostrato che le persone possono ricordare il 35% di quanto annusano, rispetto al solamente 5% di ciò che vedono, il 2% di ciò che sentono, l’1% di ciò che toccano e l’esperto di profumi Fred Dale ha constatato che mentre la memoria visuale perde il 50% della propria intensità dopo tre mesi, i ricordi legati alla sfera olfattiva perdono soltanto il 20% della propria intensità dopo un anno.
In un test un gruppo di quarantacinque soggetti ha esaminato una scarpa sportiva da un medesimo paio; in una delle stanze era stato diffuso un leggero profumo di fiori. I risultati sono stati molto chiari; l’84% degli intervistati ha affermato di preferire la scarpa nella stanza profumata rispetto a quella della stanza senza odori.
All’ olfatto si è riferito anche il Pontefice della Chiesa Cattolica quando, tra lo stupore generale, ha invitato i pastori di anime ad abbracciare senza riserve il gregge per “sentire l’odore delle pecore”.
E di pecore e di gregge si è tornato a parlare nei mesi scorsi con riferimento alla disperata ricerca di un’immunità da raggiungere, secondo governanti drammaticamente ieratici come Donald Trump, Boris Johnson o Jair Bolsonaro, pur ricorrendo al il più antico e tragico dei tentativi umani di ingraziarsi la divinità avversa: il sacrificio dei più deboli. Nostalgia delle sterminate pampas argentine, narrate da Bruce Chatwin, Luis Sepulveda e Francisco Coloane o ricordo archetipico dell’immolazioni di agnelli, rimogeniti, vergini e ogni altro genere di vittime innocenti ?
Milene Mucci ha scritto su Dol’s Magazine nel 2016 “C’è uno strano odore entrando nei padiglioni del lager, un odore mai sentito, qualcosa di caldo, nauseante e dolciastro che ti prende allo stomaco e vorresti soltanto scappare. C’è un odore ad Auschwitz che entra dentro e rimane, per sempre”.
E un odore simile esala nel XXI secolo dai confini di terra e di mare dell’Europa ai cui muri liquidi o di filo di spinato si aggrappano i diseredati del mondo tra la crescente paura che dilaga tra gli assedianti come tra gli assediati.
E che dire del tenente colonnello William, Bill, Killgore, sintesi di sicuro effetto tra “uccidere” e “sangue degli altri” mentre tra le note della Cavalcata delle Walkirie gli elicotteri mitragliano un villaggio di sospetti vietcong che poi sarà fatto spianare con il napalm, a cui Francis Ford Coppola fa dire: « Lo senti quest’odore ? Un volta bombardammo una collina per dodici ore. Non trovammo più nessuno, neanche un lurido cadavere di viet. Ma quell’odore, quell’odore di benzina. Tutta la collina odorava di… vittoria !»
Di ben altri odori si stordisce il parigrado, cieco di guerra, Frank Slade, l’immenso Al Pacino, nel film “Scent of Woman” di Martin Brest del 1992, remake di “Profumo di Donna” del 1974 per la regia di Dino Risi con Vittorio Gassman, Agostina Belli e quell’Alessandro Momo poi reso folle dai feromoni di Laura Antonelli in “Malizia” di Salvatore Samperi e perito non ancora diciottenne in un tragico incidente su una potente moto prestatagli da Eleonora Giorgi che dovette risponderne. Oggi avrebbe avuto sessantacinque anni, ma spesso il successo conquistato troppo presto profuma di incoscienza e di delirio di onnipotenza.
E di odori il cinema è stato pervaso sin dalle origini come Rose Parade del 1906 per giungere ai primi effetti speciali dello Smell-O-Vision, poi dell’Odorama in cui le locandine proclamavano “ Prima si sono mossi (1895) poi hanno parlato (1927), ora profumano”. La realtà, finta ma aumentata, aveva iniziato il proprio cammino inarrestabile.
Tuttavia hanno avuto più fascino e successo film le cui sequenze più che odori diffusi in sala hanno sprigionato l’immaginazione della magia dei profumi, e dei sapori, come potenti strumenti di seduzione e di potere. Pur senza effetti speciali ne hanno descritto la capacità di influenza in capolavori quali “Willy Wonka” nel 1971 con Gene Wilder, poi riproposto nel 2005 con Johnny Deep, “Vatel” nel 2000 con Gerard Depardieu, “Chocolat” nello stesso anno con Juliette Binoche, il film d’animazione “Ratatouille” del 2007, “La Cuoca del Presidente” con Catherine Frot nel 2012, ispirato ad una storia vera nello scenario dorato dell’Eliseo di Françoise Mitterrand.
Per non parlare delle gocce di Chanel n.5 unico indumento notturno di Marylin Monroe e indubbiamente note a JFK. Ne trovarono un flacone, insieme ai barbiturici, accanto al suo cadavere, ma le immagini prese da un fotografo della rivista “Modern Screen” in quella livida alba del 5 agosto del 1962 non furono mai pubblicate. D’altronde era stata proprio Coco Chanel a sostenere che “una donna dovrebbe indossare il proprio profumo ovunque le piacerebbe essere baciata”.
La dignità di massima opera cinematografica sul tema dell’olfatto è, ad avviso di chi scrive, il film “Perfume: a story of a murderer” del 2006, tratto dal romanzo “Il Profumo” del drammaturgo tedesco Patrick Süskind e portato sugli schermi nel 2006 dal regista Tom Tykver. La colonna sonora è eseguita dei Berliner Philharmoniker e il racconto è dominato dalle interpretazioni di Ben Wishaw, Dustin Hoffman e Alan Rickman, il Severus Piton della saga di “Harry Potter”
Il film è ambientato prima a Parigi e poi a Grasse, in Provenza, patria fin dal XVI secolo dell’industria profumiera e principale luogo di coltivazione della lavanda, del gelsomino e della Rosa Centifolia.
La storia, che ha ispirato questo articolo per i tanti ed attuali riferimenti con l’attualità mondiale, narra del giovane Grenouille, dall’infanzia dickensiana funestata dalla morte di quanti avrebbero potuto amarlo, dotato di uno straordinario ed ossessivo senso dell’olfatto che lo spinge alla ricerca dell’aroma supremo.
Venduto come uno schiavo al maestro profumiere, l’italiano Giuseppe Baldini ormai in declino, ne apprenderà i segreti del mestiere, lo stupirà con l’incredibile capacità di percepire e distillare l’essenza di ogni cosa e di ogni essere vivente, ma lo terrorizzerà per la luce demoniaca che gli si legge negli occhi. Grenouille infatti è disposto a qualunque nefandezza pur di creare il profumo perfetto in grado di ammaliare e sedurre qualsiasi creatura.
Acquistata la libertà con cento formule di ricette che Baldini gli impone di scrivere quale prezzo del riscatto, si mette in cammino verso Grasse, dove da secoli è praticata la tecnica dell’enfleurage, per cercarvi le essenze più pregiate da cui distillare ciò che cerca. Giunto in città, scopre che esso è dato dalla mescolanza di tredici effluvi provenienti dai cadaveri di ingenue e bellissime giovani donne.
Si trasforma così in uno spietato serial killer cui presto le autorità locali inizieranno a dare la caccia. Catturato dopo aver causato l’ennesima vittima, figlia di un notabile che aveva cercato inutilmente di metterla in salvo, è condannato al patibolo. Mentre ne sale le scale, lascia cadere alcune gocce del profumo finalmente ottenuto ed immediatamente la folla colma di odio che attende di assistere all’esecuzione, si trasforma.
Inebriati da un essenza mai sentita, tutti gli tendono adoranti le braccia, guardie e carcerieri, prelati e suore, potenti ed umili, poveri e ricchi cominciano ad abbracciarsi e ad accarezzarsi, si denudano e l’intera piazza diviene teatro di un’orgia dove si consumano amori di ogni genere. Perfino il padre dell’ultima vittima, pur avendo tentato di resistere al sortilegio, abbraccia le ginocchia dell’assassino e ne implora il perdono. La folla di amanti casuali si risveglierà dopo qualche ora e pieni di vergogna, uomini e donne cercheranno imbarazzati di coprire le proprie nudità, increduli e inorriditi per quanto accaduto. Una metafora dell’ipocrisia umana.
Al posto del vero colpevole verrà rintracciato e giustiziato un “capro espiatorio” e la cronaca dell’intera vicendasarà poi sepolta, nel silenzio complice di tutti, tra i recessi più reconditi degli archivi della città.
Grenouille è scomparso. E’ libero, porta con sé l’ampolla ancora piena dell’essenza a cui deve la vita ma anche la propria maledizione. Ha scoperto l’elisir che generando amore gli ha consegnato il potere assoluto su ogni persona ma si rende conto che non potrà mai essere amato. Si incammina così verso Parigi e in piena notte giunge nella piazza del mercato dove era nato. Andando verso la folla di miserabili che vi bivaccano, versa su di sé l’intero contenuto dell’ ampolla, offrendosi inerme alla fine che ha scelto. La folla cenciosa attirata dal profumo irresistibile lo abbraccia sino a soffocarlo e ne divora, bramosa e antropofaga, le carni.
La mattina seguente, mentre il mercato si anima e del fatto tutti hanno perso memoria, sul selciato rimangono l’ombra di una macchia e una fiala ormai vuota che alcuni bambini si contendono.
Jean Baptiste Grenouille è sparito dal mondo senza lasciare traccia, proprio come accade, prima o poi, a tutti gli odori.
Basta un attimo di distrazione da parte del più attento profumiere ed anche la più sofisticata miscela di essenze può diventare un olezzo nauseabondo. In fondo anche il miglior profumo, di cui in genere sono inumiditi con poche gocce l’abito e cosparse le mani, non è altro che il resto di sostanze morte e putrefatte.
Chi lo indossa spesso non lo sa e si concede compiaciuto agli applausi dei propri sicofanti, inebriati adoratori di quel fascino fatale dietro al quale si nasconde il nulla.
Aromi e odori, puzze ed afrori guidano dunque il mondo nei periodi in cui la razionalità viene meno e prevalgono gli istinti peggio governati che portiamo con noi sin dall’inizio dell’ Umanità.
E quando ciò accade, sembra perdersi nell’ infinito quell’ingenua ma potente speranza di “un fresco profumo di libertà”.