Tra provvisorietà ed erranza, in cerca di nuove epifanie
Mutazioni ambientali, antropologiche e sociali trovano classi dirigenti inadeguate, disorientate e incapaci di concepire il futuro.
_______________
Il segno della transizione sta accompagnando la nostra epoca ormai da molti anni. La velocità che contraddistingue i processi sociali, economici e della conoscenza – con il più recente dibattito sull’ intelligenza artificiale – sta richiedendo nuove capacità di analisi e di decisione che presentano caratteristiche inedite nella storia dell’Umanità.
Tali capacità si declinano al futuro e consistono nell’individuazione con largo anticipo della direzione in cui evolveranno i fenomeni e non più in quella – tutta emergenziale – di trovare soluzioni a problemi che si manifestano improvvisamente e direttamente nella propria complessità.
Quanto sta accadendo, anticipato da anni da pensatori quali Bauman, Beck, Gallino, Giddens ed altri, ha già configurato una società smarrita in cui classi sociali, regioni del mondo, singoli individui vagano in quell’Odissea del post-moderno che, a differenza dell’ eroe omerico, non possiede la speranza di rivedere Itaca e si trascina invece in un presente infinito e dilatato, molto più simile al vagabondaggio senza costrutto di Leopold Bloom protagonista dell’ “altro” Ulisse raccontato con sconcertante lucidità da James Joyce oltre un secolo fa.
Il mondo procede disordinatamente e privo di guida verso scenari in cui non solo la storia dei singoli popoli è diventata quella dell’intera Umanità ma dove anche la Natura pone a tutte le latitudini gli stessi allarmi ambientali, globalizzando catastrofi naturali, le cui cause quasi sempre possono essere fatte risalire ad antiche e recenti responsabilità umane.
I grandi ideali che dall’Illuminismo in poi hanno puntato a costruire, almeno in Occidente, i valori della solidarietà quale risultato dell’affermazione dei principi di uguaglianza tra tutti gli individui, hanno trovato nell’ egemonia economica un argine insormontabile ed a quella sono ormai subordinati e subalterni.
L’Europa ha perso da decenni il ruolo di guida nella costruzione di un mondo migliore e negli Stati Uniti d’America la successione di Biden presenta altalenanti e forti rischi di arretramento sociale.
Cina e India, ormai in competizione per incremento demografico, sono ancora avvinte nelle contraddizioni secolari che contrappongono il massimo dell’era post industriale al mantenimento di condizioni di vita medievali nelle sterminate aree interne e che riguardano ancora miliardi di persone.
Il continente africano è sempre più lontano dalla definizione del proprio destino e continua ad essere il luogo del massimo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’immane tragedia della fame, dell’ AIDS e di antiche epidemie ancora endemiche su cui si preferisce tacere.
Migrazioni dalle proporzioni planetarie sono in corso e quelle poche decine di migliaia di esseri umani diretti verso quel mito dell’Occidente che non esiste più e che i media raccontano ogni giorno, sono soltanto la parte emersa di un iceberg dalle proporzioni gigantesche e in rapida rotta di collisione con la realtà che abbiamo conosciuto.
In tale scenario i percorsi formativi delle nuove generazioni rimangono sostanzialmente quelli del secolo scorso. Nelle scuole e nelle università si continuano ad insegnare, con modalità didattiche arcaiche, discipline dell’ormai sepolta era industriale e saperi obsoleti che, alla prova decisiva del tentativo di entrare o di restare dopo una certa età nel mondo del lavoro, rivelano limiti invalicabili.
Ciò è all’origine di disoccupazione che non ha precedenti e che tocca tutte le generazioni e le zone geografiche, livellando sempre più verso il basso bisogni e desideri, sogni ed aspirazioni, consumi e stili di vita.
Pur conoscendo la verità, larga parte della politica continua ad alimentare speranze attingendo a teorie economiche socialiste o liberali, oggi entrambe improponibili perché profondamente trasformato è il contesto in cui applicarle.
Mutazioni sociali, antropologiche e perfino genetiche trovano impreparate classi dirigenti sempre meno adeguate e sempre più provvisorie e, anch’esse, smarrite e disorientate.
Termini come decadenza, degrado, delegittimazione e conflitto connotano istituzioni, società, ambienti naturali e si riflettono ormai su più generazioni che ne stanno sperimentando gli effetti sul proprio destino.
Dalla sponda ormai franata di una società delle certezze e delle garanzie collettive si staccano zattere di profughi che dovranno imparare a navigare a vista in cerca di nuovi approdi e alla ricerca di un nuovo senso dell’esistenza: uomini e donne che già oggi sperimentano la necessità di guidare da soli la propria vita senza più potere fare affidamento su sempre più rari ed esigui sistemi sociali di protezione.
Pochissime tra queste persone sono oggi attrezzate per farlo. La maggior parte di esse sperimenta la propria fragilità e si lascia andare alla deriva o converge intorno a falsi profeti che ne sfruttano le residue speranze e ne eccitano i peggiori istinti.
Nella disattenzione totale sorgono prepotentemente nuovi bisogni educativi, tutti dentro il nuovo paradigma dell’incertezza ed a cui, soprattutto i giovani adulti non sono stati preparati da coloro che pure sapevano bene quale mondo si stesse costruendo e che avevano il dovere di attrezzarli perché sapessero affrontarli.
Gli insegnamenti di Morin, i moniti di Rifkin, le previsioni di Bion, il paziente invito a prepararsi a fare i conti con le tecnologie per non esserne disumanizzati proposto da Heidegger, Severino, Galimberti e molti altri, sono rimasti nel chiuso dell’Accademia e non hanno contaminato come avrebbero potuto e dovuto la società italiana.
Provvisorietà ed erranza saranno nei prossimi decenni i compagni di vita di molte generazioni che avranno il compito di aprire nuove strade per se stesse e per quelle che le seguiranno.
Generazioni che dovranno avere al proprio interno individualità capaci di guidarle lontano da un passato ormai in fiamme, in salvo verso nuove mete che esse avranno dovuto e saputo immaginare prima di proporle come nuovi traguardi da raggiungere, pur con fatica e sacrificio.
Singole individualità dotate di inedite capacità quali il coraggio – fisico e non solo intellettuale – il discernimento, il rigore morale, la responsabilità di sentire il servizio agli altri come lo scopo della propria esistenza, l’ottimismo della volontà contro il pessimismo della ragione, la fantasia e l’immaginazione per distinguere prima di altri la direzione da prendere davanti ai tanti bivi che il futuro presenterà.
Esse dovranno apprendere presto la capacità di scegliere e di decidere, quando altri si attardano nell’autocommiserazione o, all’opposto, nello sterile narcisismo, sapranno sopportare la sofferenza che ne deriverà e al raggiungimento di ogni nuova tappa, dovranno essere capaci di verificare di aver compiuto la propria opera e, soprattutto, di aver preparato altri per continuarla e migliorarla.
Orientare la formazione di una nuova classe dirigente in tale direzione è l’unica possibilità che rimane alla nostra generazione per riscattare colpe, errori, omissioni. Farlo presto sarà il nostro ultimo dovere.